contributo di Giulia Pellizzato
Vorrei condividere con voi alcune riflessioni sorte dalla lettura dei vostri interventi, da alcuni libri di Daisaku Ikeda sull’argomento (L’educazione Soka, 2003; Students! Be the vanguard!, 2014; Student division: the brightest stars of Soka, 2014), dalla mia esperienza personale. Chiedo scusa per la forma poco curata e forse perentoria di questi appunti, che non ho il tempo di migliorare ma che desidero sinceramente condividere prima di giovedì.
Concordo con Francesco Varanini nel credere che la formazione del presente e del futuro non può non essere formazione alla libertà. Un esempio positivo proviene dal sistema scolastico svedese, che offre agli studenti la possibilità di scegliere i propri temi di interesse all’interno di un ampio ventaglio di letture. Ciò permette di affinare capacità di introspezione, ragionamento, riflessione etica ormai imprescindibili.
Formarsi implica incontrare dei punti critici (momenti in cui si pensa “non mi raccapezzo”) che solo se affrontati e superati permettono di acquisire la necessaria padronanza degli elementi trattati. La formazione non credo dovrebbe mirare ad evitare tali scomodi frangenti, come accade nei moduli preconfezionati in cui si sa sempre a che punto si è e le soluzioni fluiscono chiare sulle slides di Powerpoint, quanto piuttosto ad accompagnare e allenare le persone a superarli.
La formazione non credo dovrebbe puntare ad altro se non alla fioritura interiore delle persone a cui si rivolge. Certamente è importante che certe conoscenze vengano trasmesse, ma ciò è solo il mezzo per permettere alle persone di operare con creatività e saggezza (vero scopo della formazione), utilizzando le conoscenze acquisite (mezzo). Scrive Ikeda: “the true purpose of education is to develop human beings. It is the process of using knowledge as the sustenance to foster people who can demonstrate infinite creativity and self-reliance. Gaining knowledge is indispensable for guiding a changing society, but knowledge itself is not the same as creativity. Education must enable us to manifest our inner potential, and learning is just a catalyst for drawing that out” (2014b, p.194-195). E ancora: “knowledge alone cannot guarantee happiness. We need to have wisdom if we are to live wisely. Knowledge is like a pump that draws up the water of wisdom. Cultivating wisdom is a shortcut to happiness” (2014a, p. 33).
Per quanto riguarda la mia esperienza con il linguaggio, che costituisce parte integrante quotidiana del mio lavoro, non credo risiedano in esso i problemi. Ritengo che il linguaggio diventi problematico quando utilizzato con arroganza, egotismo, disattenzione e non-ascolto verso l’altro. Ciò diventa particolarmente importante nell’educazione/formazione: considerato che la formazione avviene nella relazione, è fondamentale come gli educatori/formatori si relazionano.
Mi pare che le esperienze di “formatore alla pari” raccontate da Marco Bruschi e Matteo Fantoni siano particolarmente interessanti in tal senso. Quando lo scopo principale è permettere all’altro di superare un problema, magari provando gioia o altre emozioni inaspettate nell’apprendere, diventa possibile superare ogni tipo di resistenza passiva. Ciò è reso possibile anche dall’atteggiamento del formatore, che anziché rinchiudersi nell’armatura di un ruolo si relaziona autenticamente.
Una formazione in cui la relazione è autentica permette di sviluppare da entrambe le parti abilità estremamente preziose come pensiero critico, potenzialità empatiche, capacità di prendere decisioni; quando tale relazione è virtuale (possibile in teoria ma non realizzata concretamente) tali capacità tendono ad atrofizzarsi pericolosamente.
Attualmente sto svolgendo un dottorato di ricerca in materie letterarie, lavorando al contempo in ambito segretariale-amministrativo. Da questo punto di vista anfibio (né docente, né studente) osservo che i modelli e sistemi di potere attualmente vigenti nell’università tendono all’inerzia, offrendo corsi uniformanti e manifestando difficoltà ad interagire efficacemente coi giovani e la società. Credo che l’università dovrebbe essere un luogo in cui le persone possono allenarsi a sviluppare libertà spirituale e personalità creative, e credo ciò possa valere anche per la formazione in senso lato (cfr. Ikeda 2003, pp. 133-146). Mi pare che vari spunti degli interventi raccolti sinora si trovino anche in queste parole di Ikeda, che spero possano contribuire al nostro dialogo: “i veri maestri (coloro che sono genuinamente interessati alla crescita di ogni studente), perciò, sono coloro che hanno l’umiltà di avanzare assieme ai loro studenti. L’educazione non deve mai essere imposta. Il cuore dell’educazione si trova nel processo d’apprendimento che coinvolge sia l’insegnante sia l’alunno, con l’insegnante che fa emergere il potenziale dell’allievo e lo educa a sorpassare il maestro” (2003, p. 157).