contributo di Adelaide Sonatore
Riporto alcune mie opinioni sul convegno il cui tema è sicuramente interessante. I contributi pubblicati al tuo testo iniziale evidenziano diverse piste di approfondimento. Riporto quindi solo qualche idea a integrazione.
La prima considerazione è che non si limiti troppo il campo: quando si parla di libertà è opportuno fare riferimento a un contesto geografico e umano allargato. Cosa che ci farà tornare “a casa nostra” (alla ricognizione ragionata delle politiche nazionali e della legislazione di questi ultimi anni in tema di lavoro e formazione) più attrezzati. Abbiamo due occasioni che ci aiutano. Una è costituita dal 20° anniversario della Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne – Dichiarazione di Pechino che può fornirci la possibilità di ragionare sui diritti per tutti (la libertà ha pur una base giuridica e quindi non si può eludere la questione delle politiche che la promuovono e delle norme che la regolano, anche limitandoci alla formazione e al lavoro). L’altra dall’esperienza di Malala Yousafzai (e il suo recente Nobel per la pace) in cui il diritto alla libertà di istruzione delle bambine e delle ragazze e alla sua difesa, sono concretamente e emblematicamente rappresentati.
La seconda considerazione è che libertà e partecipazione sono strettamente connesse (il contributo di Luca Fornaroli sottolinea quest’aspetto). Potrebbe allora essere interessante ragionare sugli approcci e le esperienze di attivazione di percorsi partecipativi nella programmazione e valutazione di servizi, realizzati in questi anni da istituzioni pubbliche. E sul versante delle aziende, raccogliere testimonianze delle imprese che hanno sperimentato una partecipazione dei lavoratori alla gestione (come suggerito dal contributo di Piero Trupia). E ancora capire come le regioni stanno intervenendo nell’attivare il sistema di apprendimento permanente (le Linee strategiche di intervento sono state approvate lo scorso anno dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni e alcune regioni di stanno attivando per l’attuazione del sistema territoriale).
Infine, liberare può significare richiamare a possibilità e limiti delle funzioni superiori umane. «Appoggiarsi» alle basi neurofisiologiche dell’apprendimento permanente per liberarsi dai limiti? Per mobilizzare le potenzialità? Per seguire nuove strade metodologiche? I progressi delle neuroscienze possono dirci qualcosa di utile (ricordo una relazione interessante di Alberto Oliveiro a un convegno AIF di qualche anno fa).
Noto poi che due contributi citano canzoni (Bruschi e Fornaroli): ripercorrere l’evoluzione dell’idea di liberazione o oppressione nel lavoro/dal lavoro attraverso le canzoni potrebbe essere un piccolo gioco illuminante anche per la formazione.