contributo di Luca B. Fornaroli
Trovo l’argomento assai interessante, necessario direi, e per questo mi duole ancor di più non poter partecipare in questa occasione.
Dopo il recente convegno Este, dove da parte di alcuni responsabili hr – eicciar, come dicono loro con un automatismo verbale senza più riflettere un secondo su che cosa sia una risorsa e che cosa sia umano – si sono avute chiare dimostrazioni che la libertà e il pensiero critico che ne consegue non siano ambiti molto frequentati, mi sono sempre di più convinto che le assonanze giochino brutti scherzi: si confonde formazione con uniformazione e con conformismo.
La Formazione dovrebbe essere un processo dialogico: si costruisce almeno in due, prende “forma” dal confronto/scontro delle libertà, ha una natura creativa che la dovrebbe far convergere verso una libertà condivisa, partecipata – “libertà è partecipazione”, cantava il nostro, e lì dovrebbe essere l’habitat naturale della formazione.
L’Uniformazione sembra invece essere la caratteristica degli interventi della direzione hr: erogare un prodotto standard, che costi soprattutto poco, strutturato come bullet point da imparare, ma non da apprendere: del resto, nelle mangiatoie non si sono mai viste le mucche scegliere il menù.
Il Conformismo è il fine dell’uniformazione: adattarsi al group thinking, non steccare, leggere lo spartito, ma non intervenire sulla composizione: “non sei pagato per pensare” ho sentito dire una volta in una riunione ad una persona che aveva espresso un’opinione molto critica.
Il tutto viene giustificato dal mantra “dobbiamo vincere la sfida della globalizzazione”. Ci si dimentica tuttavia che la globalizzazione è soprattutto incontro con la diversità e che il fatto che tutti mangino hamburger o indossino jeans non implica affatto che quell’hamburger e a quei jeans abbiano ovunque lo stesso carico simbolico e siano oggetto delle stesse percezioni collettive. E si finisce così per “trans-formare” la formazione in un piatto di polpette.