contributo di Alessandro Reati
I formatori ed i responsabili dello sviluppo delle risorse umane si trovano sempre più spesso ad un bivio: reiterare comportamenti professionali consolidati ma talvolta poco generativi oppure provare ad esplorare approcci nuovi o non ancora molto diffusi.
In un ambiente sempre più instabile ed esigente come quello delle attuali organizzazioni, riflettere e prendere consapevolezza sul proprio e sull’altrui percorso professionale è necessario per riuscire a creare opportunità di apprendimento per i formandi, diventando concreto supporto per lo sviluppo e l’employability. Spesso si tratta di abbandonare l’illusione di governare i processi di apprendimento e di interpretarsi come attivatori e facilitatori di esplorazioni autodirette. In questo senso è estremamente utile considerare il poco comune concetto di autoformazione.
L’idea dell’autoformazione, è solo apparentemente nuova: è presente sin dall’origine delle riflessioni andragogiche e psicologiche. Averne memoria è utile per comprenderne la potenza trasformativa, ricordandone anche le linee di sviluppo che, partendo dal tema dell’autodidattismo, hanno ormai condotto alla concettualizzazione dell’informal learning del self direct learning.
La formalizzazione del concetto di autoformazione è novecentesca ma i prodromi son ben lontani. Già Platone ne valorizzava il senso, introducendo la preziosa e fondamentale relazione tra apprendimento, utilità ed etica. Nei secoli successivi i contributi furono molteplici, indimenticabili quelli di Cartesio, Rousseau, Pestalozzi, Freire.
I contributi novecenteschi (tra i molti quelli di Thorndiek, Lorge, Knowles) hanno in particolare enfatizzato il tema della componente intrinseca del processo di autoformazione: il soggetto apprende ciò lui per primo ritiene utile o funzionale, non semplicemente ciò che il contesto propone o addirittura impone. Per questo, secondo Quaglino, si tratta di un fenomeno sintonico con i processi naturali di sviluppo psicologico.
Oggi i modelli teorici che oggi maggiormente risultano utile riferimento per la comprensione del fenomeno sono quelli di Knowles, Mezirow e di Pineau. Il primo ha consolidato il concetto di apprendimenti autodiretto, evidenziando che il processo di apprendimento individuale è orientato verso l’autonomia e che la dinamica sociale tra discenti proattivi e discenti reattivi deve essere al centro delle riflessioni di formatori e docenti. Il secondo ha sviluppato la teoria della prospettiva trasformativa che, seppur spesso fraintesa, pone le basi per la comprensione dei processi di apprendimento degli adulti. In sintesi: pensiero ed esperienza sono reciprocamente influenzati, l’autoformazione è possibile solo esercitando un apprendimento strumentale, dialettico e autoriflessivo. Il terzo rinforza che l’autoapprendimento non può essere che il risultato di una eteroformazione, ossia di relazioni sociali ed ambientali.
Non dobbiamo poi dimenticare come le riflessioni sull’autoformazione siano fortemente intrecciate, a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, con il concetto di Lifelong Learning. Anche questo filone di ricerca ha portato a contributi notevoli, in particolare quelli sul tema dell’ apprendere ad apprendere e sull’apprendimento in un mondo globalizzato.
Il movimento delle competenze ha poi sottolineato sin da metà del secolo scorso come la competenza sia un sovrainsieme sistemico di conoscenze, abilità e sensibilità (knowledge, knowhow, relationship). In seguito è poi stato messo a fuoco che la valorizzazione delle competenze è esito di dinamiche di sociali e di mercato, spesso con esiti ambigui, stante la contrapposta esigenza delle organizzazioni di ricercare e gestire competenze professionale e l’esigenza delle istituzioni di certificare formazioni abilitanti e titoli di studio.
L’OECD, Organisation for Economic Co-operation and Development, ha infine evidenziato come cioè che si considera Lifelong learning è proprio il risultato dinamico, a livello intra personale e intra sociale, di una imprecisabile combinazione di formal, non-formal e informal learning. In particolare è proprio la componente dell’informal learning, pur con la difficoltà di una sua misurazione condivisa, ad essere l’elemento forse più pregiato e socialmente costruttivo. Proprio per questo il tema del self direct learning acquisisce sempre più importanza: per la sua centralità nel processo sociale di creazione del sapere condiviso e delle pratiche diffuse.
Non bisogna infatti mai dimenticare che la quotidianità del sapere, ossia la declinazione quotidiana in comportamenti concreti si basa sulla triangolazione tra causalità (ossia eventi passati), intenzionalità (ossia la visione del futuro) e motivazione. Per questo qualsiasi azioni mirata allo sviluppo dell’apprendimento dovrebbe essere intesa come un progetto collettivo, il cui risultato dipende anche dalla libera interpretazione dei soggetti che lo animano.
Stante queste considerazioni storiche e metodologiche, formatori e committenti di formazione dovrebbero allora sempre più abbandonare il ruolo degli esperti di contenuti e di organizzatori di seminari per trasformarsi in facilitatori organizzativi di processi sociali complessi, in cui le attese di tutti i soggetti coinvolti possano riprendere appieno dignità e valore.